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Taiwan e Cina sembra un copione di un dejà vu: Davide Contro Golia.


E’ ormai noto che le relazioni tra Cina e Stati Uniti stiano diventando sempre più difficili. In gioco c’è la leadership a livello mondiale di due superpotenze e soprattutto l’affermazione di due sistemi di governo come quello democratico liberale e quello democratico popolare celato come dittatoriale.


Le tensioni tra i due colossi mondiali si sono fortemente inaspriti quando la presidente della Camera americana Nancy Pelosi ha fatto visita a Taiwan e, in Taipei, ha incontrato la presidente Tsai Ing-Wen. Incontro non gradito dalla Cina tanto da mettere in atto una dura reazione chiamando in causa addirittura l'esercito.


Fra America e Cina si è alzato ormai un gran polverone sulla vicenda Taiwan e questo naturalmente ha innescato una spirale di panico e agitazione anche tra gli investitori, con ripercussioni al ribasso delle azioni cinesi, in particolare quelle quotate in America.


Ma perché la Cina vuole così tanto Taiwan?

I motivi sono diversi e riguardano fondamentalmente tre fattori: il primo di carattere ideologico, il secondo di carattere economico e il terzo di carattere politico. Vediamoli più in dettaglio.


1. Fattori ideologici.

Pechino considera Taiwan un suo territorio sin dal lontano 1945 quando l’isola fu persa dopo la guerra dal Giappone. Da allora ci sono stati sempre tentativi cinesi di ammettere Taiwan all’impero Cinese.


L'America, come si può ben immaginare, non è assolutamente d'accordo e Joe Biden ha dichiarato, sia ai media che ha lo stesso Xi Jinping, che l'occidente si opporrà a qualsiasi movimento unilaterale volto a cambiare lo status quo e a mettere in discussione la pace e la stabilità di quell'area geografica.


Ricordo che il presidente Xi Jinping ha addirittura fissato la data del 2049 entro la quale la Cina vuole annettere Taiwan al suo territorio proprio in corrispondenza del centenario della Repubblica popolare cinese.


Comunque, guardando il quadro nella sua grandezza più ampia, il motivo territoriale non è sicuramente l'unico ad ingolosire l'interesse della Cina verso Taiwan.


2. Fattori economici

Nella volontà di annessione alla Cina c'è sicuramente un movente fortemente economico perché Taiwan può essere davvero considerata una miniera d'oro. Se pensiamo che il suo prodotto interno lordo quindi il PIL ha superato quello di nazioni come Svizzera, Svezia e Arabia Saudita, Taiwan può essere tranquillamente collocata all'interno del ranking delle prime 20 economie mondiali più sviluppate. E’ evidente, quindi, quale sia il vero interesse Cinese verso l’isola.


In più in Taiwan transita il 40% del commercio mondiale per un valore complessivo che supera i 5,3 trilioni di dollari l’anno. La sua posizione geografica è strategica dal punto di vista commerciale soprattutto perché nei pressi dell’isola passano obbligatoriamente le navi cinesi dirette verso l’oceano Pacifico.


Altro fattore di estrema importanza è che Taiwan detiene il 92% della capacità produttiva dei microchip avanzati che sono indispensabili nella produzione delle automobili, dei computer, degli smartphone e di tantissimi dispositivi utilizzati ogni giorno, anche se le aziende che poi realizzano i prodotti finiti sono americane o europee. La materia prima dei semiconduttori arriva quasi tutta da Taiwan e questo asset è strategico per ogni paese.


Inoltre, sembra evidente, come affermato da diverse notizie di testate giornalistiche, che la Cina non riuscirà nel 2022 a mantenere un tasso di crescita del 5,5% rispetto all'anno scorso, centrando probabilmente un valore al ribasso. Farebbe molto comodo includere il PIL della gallina dalle uova doro all’interno di quello Cinese.


Ad aggravare la situazione economica, e di conseguenza anche quella degli investitori, c’è anche la questione di circa 150 società cinesi quotate a Wall Street, inclusa la nota Alibaba, che sono state inserite in una sorta di lista nera e che potrebbero subire effettivamente un delisting per motivi di compliance dovuta alla non adeguatezza di alcuni requisiti imposti dall'autorità di regolamentazione americana per quanto riguarda i criteri contabili e il modo in cui vengono redatti i bilanci. Naturalmente le aziende implicate hanno già dichiarato che faranno il possibile per rimanere comunque compliance e rispettare tutte le leggi e i regolamenti vigenti.


3. Fattore Politico

La visita di Nancy Pelosi a Taiwan è considerata molto strategica dal punto di vista politico e altrettanto tempestiva in quanto il presidente cinese Xi Jinping sta cercando il terzo mandato come presidente della Repubblica popolare cinese e di conseguenza ha gli occhi puntati di 1,4 milioni di cinesi che vogliono effettivamente vedere che il presidente sia in grado di far valere la volontà della Cina e di farla rispettare a livello mondiale.


Bene, ora il quadro sembra un po' più chiaro e evidenzia come questi tre fattori stiano mettendo a dura prova le relazioni tra Cina e USA. Dopo un periodo in cui anche i titoli azionari cinesi stavano effettivamente recuperando parte delle perdite dei mesi scorsi, adesso si sta generando nuovamente un forte clima di incertezza e di notizie negative che hanno riportato un grosso pessimismo sui mercati.


La vicenda Taiwan potrebbe innescare un secondo caos, dopo quello Russo-Ucraino, sui mercati finanziari e alimentare nuove spirali inflazionistiche. Bisogna valutare attentamente il rischio indotto da America e Cina in quanto le tensioni sono molto più elevate rispetto a qualche tempo fa. Questa volta non si lotta con le sole parole. Quando al tempo di Trump si parlava di guerra commerciale, adesso si tirano in ballo addirittura gli eserciti e le esercitazioni militari in corso.


Cosa fare con i propri investimenti?

Queste nuova crisi, al pari di quella in corso tra Russia e Ucraina, è di certo un fattore esogeno che l’investitore non può controllare, né tantomeno prevedere come le crisi si risolverà e quale direzione i mercati prederanno.


Le normali strategie che spesso i guru della finanza suggeriscono rischiano di non essere tanto più vere. La diversificazione del portafoglio, i beni rifugio, gli asset alternativi e il mantenimento della liquidità non sono certo la soluzione. Si è vero, un asset allocation ben stabilita potrebbe attenuare le perdite di portafoglio, ma quando ci sono in gioco i propri soldi, i tuoi risparmi, ogni investitore dovrebbe trovare soluzioni più efficienti che pongano il portafoglio al riparo dalla forte volatilità che si potrebbe scatenarsi sui mercati. Chi ne ha esperienza sa bene che un mercato in caos rischia di stritolare molti investitori, anche quelli mediamente più esperti.


Ma dopo tutte queste notizie preoccupanti, credo non sia il caso di disperarsi per chi è già esposto finanziariamente, perché una soluzione c’è sempre. La soluzione che ti vorrei illustrare è quella di adottare strategie dinamiche quantitative di tipo Trend Following, dove specifici algoritmi forniscono automaticamente segnali di IN o OUT, escludendo qualsia parere discrezionale che indurrebbe l’investitore ad incappare in bias comportamentali tali da rovinare l’intero portafoglio investito. Evita soprattutto il fai da te in questi casi che potrebbe rivelarsi molto doloroso.


Con situazioni come quelle che stiamo vivendo è doveroso affidarsi a strategie che proteggono i portafogli in caso di crisi e diano slancio nei momenti di ripresa, il tutto in completo automatismo.


Se l’argomento ti è piaciuto e vuoi saperne di più sulle strategie di investimento da adottare contattami in DM o lascia un messaggio.



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